«Sono contento che l'Anconitana stia proseguendo a grandi falcate la risalita. Il blasone non basta per vincere due campionati di fila, ma se il presidente Marconi e i suoi collaboratori ci sono riusciti significa che ogni aspetto della programmazione ha funzionato». Non perde mai di vista i colori biancorossi Giovanni Cornacchini, fresco di conferma sulla panchina del Bari che si presenterà ai nastri di partenza della serie C con l'obbligo di conquistare un'altra promozione dopo la cavalcata trionfale in D, conclusa con un eloquente +11 sulla Turris seconda. Protagonista nel 2014 del ritorno dell'Ancona in C dove ottenne un sesto e un quarto posto nelle due stagioni successive, il 54enne tecnico fanese si tiene sempre aggiornato sulle vicende del club dorico che sta pianificando l'Eccellenza, categoria che conosce bene per averla frequentata nel 2010/11 con la Fermana.
Cornacchini, quanto è cambiato rispetto a quel campionato?
«Il livello tecnico si è abbassato, dalla serie A in giù. Quando la feci io c'erano venti squadre e realtà importanti, come l'Ancona che arrivò prima, Fermana, Vis Pesaro e Maceratese, senza dimenticare il Tolentino. Mi ricordo che i cremisi erano forse i più attrezzati avendo in attacco un certo Federico Melchiorri eppure non vinsero nulla. Adesso in Eccellenza non ci sono più big di quel calibro, ma le difficoltà sono sempre elevate».
Da cosa lo deduce?
«Ho visto giocare il Fabriano Cerreto del mio amico Renzo Tasso e ne ho ricavato un'ottima impressione. Purtroppo è arrivato terzo alle spalle di Tolentino e Porto Sant'Elpidio, segno evidente che la competitività non mancava tra le avversarie. L'Anconitana, che partirà con i riflettori puntati addosso, dovrà avere personalità spiccata e qualità notevole per rispettare le aspettative».
Nonostante i successi, per il terzo anno si punterà su un nuovo mister ....
«Le scelte competono sempre alle società. Chi allena in piazze prestigiose, vedi Ancona o Bari, deve prendersi onori e oneri: essere messi in discussione fa parte del nostro mestiere e bisogna avere le spalle larghe per accettare qualche appunto. È stato criticato Allegri che ha vinto tanto alla Juventus, figuriamoci se non può capitare da altre parti».
Lei ne sa qualcosa a Bari
«L'ambiente pretendeva tantissimo e non si accontentava mai, ma la dirigenza mi è sempre stata vicino confermandomi la fiducia. Ho la fortuna di lavorare con Luigi De Laurentiis, figlio di Aurelio, che si è avvicinato da poco al mondo del calcio ma ha subito dimostrato disponibilità e intelligenza. Mi sono trovato bene con lui e il direttore generale Matteo Scala tanto che i risultati ci hanno dato ragione. Qualcuno sostiene che potevamo fare di più sul piano del gioco, ma prima di tutto contano i risultati: il Liverpool stesso ha vinto la finale di Champions League senza brillare».
Quanto ha perso Ancona ripartendo dalla Prima categoria?
«La scalata verso i campionati che contano è più lunga rispetto a quanto accaduto ad altre società, tra cui il Bari, che sono state inserite in D. Serve tanta pazienza, ma gradino dopo gradino l'Anconitana si sta riavvicinando alle categorie che merita».
Si sente ancora con Andrea Marinelli?
«Sì, parlo spesso con il mio vecchio presidente con cui ho mantenuto un ottimo rapporto al di fuori del calcio. Non penso che rientrerà in questo mondo vista la scarsa riconoscenza ricevuta quando era al vertice dell'Ancona. Avrebbe meritato più attenzione per impegno e sacrifici profusi, ma ormai è inutile voltarsi indietro».
Quali erano i problemi maggiori quando c'era lei?
«Era complicato e dispendioso sotto tutti i punti di vista girovagare da un campo all'altro per allenarsi. Ricordo che eravamo spesso costretti a emigrare a Loreto, soluzione penalizzava non poco la gestione dell'intera settimana».
A breve partiranno i lavori per la ristrutturazione del Dorico
«Quando sarà pronto il sintetico il vecchio stadio tornerà a essere una risorsa fondamentale per risolvere l'annosa questione degli allenamenti di prima squadra e settore giovanile. Non si può prescindere dalle strutture per progettare il ritorno nel calcio che conta».
Daniele Tittarelli
Corriere Adriatico